30.04.2016
sabato
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Da
Nuoro
a
San Francesco di Lula
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distanza
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ascesa
tot.
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tempo
cammino
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vel. media
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difficoltà
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tappa
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km 24,900
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m 589
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h 6:35
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km/h 3,79
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2
su 5
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Curiosamente, la parrocchia di Ns. Signora del Rosario di Nuoro e il santuario di
San Francesco di Lula si trovano pressoché alla stessa quota
altimetrica.
Il tempo indicato è comprensivo delle soste (circa 45 minuti). Velocità media effettiva: 4,27 km/h |
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Per
chi ha fatto il Cammino di Santiago, questo pellegrinaggio è
veramente una passeggiata. La distanza coperta è la stessa della prima tappa del Camino Frances
da Sain-Jean-Pied-de-Port a Roncesvalle: 25
chilometri. Ma nel Cammino Sardo non si
devono valicare i Pirenei, e nei
giorni successivi non ci aspetta una cammi-nata di altri 800
chilometri con uno zaino ben più pesante sulle spalle.
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In
questi tre riquadri:
Elementi rilevati con GPS Garmin© ed elaborati con software BaseCamp©: 1° riquadro in alto: Altimetria e distanze. 2° riquadro al centro: Traccia planimetrica. 3° riquadro a lato: Traccia planimetrica sovrapposta a vista terreno 3D su mappe Google© Earth©. In rosso il tratto della SP45 alternativo alla cosiddetta variante delle vigne. |
30 aprile 2016.
È appena pomeriggio. Il cielo è plumbeo e piove
a dirotto da alcune ore. E non accenna a smettere. Il mio zainetto è
già pronto, con tutto l’occorrente per affrontare il maltempo
annunciato dalle previsioni meteo di ieri. Barbara cerca di
dissuadermi dall’insano proposito di avventurarmi nel bel mezzo di
una bufera d’acqua. Cerca, appunto. Alla fine accetta di buon grado
di accompagnarmi, dopo pranzo, non oltre le sei, per lasciare la mia
auto al santuario di Lula e tornare indietro insieme con la sua, per
poi poter ripartire (io) a piedi a mezzanotte e rientrare con la mia
macchina l’indomani.
Durante il trasferimento sia all’andata che al
ritorno la pioggia è così forte da limitare la visuale a pochi
metri. Ma io ho deciso: andrò! E così sarà. Punto.
Mezzanotte meno un quarto. Nuoro. Chiesa del
Rosario. Attendo la fine della Messa e la benedizione ai pellegrini
partenti. Dopo pochi minuti, la piccola folla di fedeli si riversa
sul sagrato. Tutti col naso in su a scrutare il cielo. È nuvolo ma
non piove più. Un segno? Bah!
Per un paio di minuti si formano dei piccoli
capannelli per organizzare i gruppi di cammino, e il corteo, un po’
compatto, un po’ sgranato, si avvia in direzione della chiesetta
della Solitudine per poi imboccare la vecchia strada di Marreri, non
prima di una breve sosta davanti al simulacro del Santo custodito in
una piccola teca all’inizio della discesa asfaltata.
Dal canto mio, l’iniziale intenzione di
camminare in solitaria è sfumata, già sul sagrato del Rosario, col
piacevole incontro di un amico, Stefano, con moglie e bimbo, con cui
la chiacchiera si mischia ai passi senza soluzione di continuità,
per cui, anche approfittando del fatto che Stefano è già
conoscitore della ricorrenza, resto aggregato alla famigliola per
tutto il cammino fino a destinazione.
Per tutto il tratto di discesa verso il ponte di
Marreri non sono il solo a volgere spesso gli occhi al cielo,
constatando sempre più ampie schiarite fino alla visione di una
magnifica stellata che scongiurerà definitivamente ogni timore di
meteo avverso.
Da buon camminatore non vedo l’ora di
abbandonare la discesa e l’asfalto per calcare il più morbido e
confortevole sterrato in pendenza contraria, anche se con un piccolo
tarlo di apprensione, poi rivelatasi ingiustificata, per il mitico
spauracchio dell’erta de “Su Pettorru ‘e
tziu Moro” che a circa tre quarti del percorso conduce alla
croce della Girandola1.
Fra una chiacchiera e l’altra e con l’intercalare di piccole soste anche per non affaticare troppo il bimbo che comunque si difende egregiamente, arriviamo puntuali al Santuario in agro di Lula a rendere omaggio alla bianca statua del Santo collocata sul sagrato di fianco alla chiesa.
In effetti le vere note di rilievo di questa nottata riguardano due particolari decisamente non religiosi: la mia prima volta del Cammino di San Francesco di Lula, e il non aver preso neanche una goccia di pioggia!
È stata un’esperienza gratificante e già
pochi giorni dopo, parlando con Stefano scaturisce
l’ovvia intesa per il prossimo appuntamento col Santo: il
pellegrinaggio autunnale per la festa del 4 ottobre.
Ma…
3 ottobre 2016. Lunedì.
Preparo lo zainetto di primo mattino, e più tardi
chiamo Stefano con l’intento di accordarci per il cammino di
stanotte. Non riesco a contattarlo, ma in compenso all’ora di
pranzo, Barbara mi mostra il giornale che parla del pellegrinaggio a
S.F. di Lula di Sabato notte; l’1 ottobre. Me lo son perso! Questa
volta andrò di giorno e in auto a rendere omaggio al Santo, ma dovrò
fermarmi davanti al cancello chiuso.
Lo sconforto inizialmente è grande, ma poi me ne
faccio giustamente una ragione. Cos’è successo?
Fino a maggio prossimo dovrò accontentarmi di
rivisitare il sito solo mentalmente...
Ergo: visto com’è andata questa volta,
ovviamente non mancherò l’appuntamento della prossima primavera. E
dato che Stefano sarà impegnato alla “Girandola” come componente
del comitato, questa volta riuscirò a camminare in solitaria.
Forse...
30 aprile 2017.
Prima della partenza, nella Parrocchia di Nostra Signora del Rosario, in via Chironi nel rione Santu Predu, la recita del rosario e al termine, la benedizione del parroco ai pellegrini. Tre tocchi sonori di mano destra al portone della Chiesa, ci si segna, e si parte.E' mezzanotte in punto. Se tutto fila liscio si dovrebbe arrivare al Santuario di San Francesco di Lula fra le sei e le sette del mattino, in tempo per assistere alla messa del pellegrino alla presenza dello stendardo con l’effige del Santo, recato in processione da Nuoro.
Da un anno all'altro, anche per uno stesso pellegrino può variare il tempo necessario a causa di soste più o meno brevi, diversa forma fisica, differente compagnia, motivazione, varianti di percorso, meteo, e altre cause. Inoltre, non tutti partono a mezzanotte: un gruppo, che accompagna Paolo Ladu, noto "Cipolla", il pellegrino scalzo1, parte un'ora prima, così come alcuni "sportivi" partono da soli o in piccoli gruppi, dopo la mezzanotte, anche all'una o persino più tardi.
Lasciato il sagrato della Chiesa del Rosario, si percorre via Chironi verso la Chiesetta della Solitudine, al bivio Monte Ortobene - Marreri, prendendo a sinistra per la vecchia strada di Marreri (la SP45) e fermandosi dopo neanche 50 metri dall'inizio della discesa per rendere omaggio alla statuetta del Santo posta in una piccola nicchia sul lato destro della strada, e chiederne tacitamente la protezione per arrivare sani e salvi a destinazione.
Fin qui la strada era rischiarata dai lampioni dell'illuminazione pubblica, ma ora, appena oltre gli impianti sportivi sulla sinistra, l'occhio deve iniziare ad abituarsi al buio, o meglio, dovrebbe. Perché in realtà, iniziano a baluginare le deboli luci delle torcette elettriche, o a sciabolare a destra e a manca i fasci abbaglianti delle lampade di qualche pellegrino "superstar" che non ha capito che così facendo, oltre ad arrecare fastidio, abitua gli occhi suoi e altrui a quel livello di luce assolutamente inutile. Infatti, se il tempo è bello e il cielo è terso, anche in assenza di luna, come ad esempio la notte del 30 aprile 2017, senza il disturbo delle torce, gli occhi si abituano rapidamente al chiarore offerto dalla magnifica stellata che di tanto in tanto non si può fare a meno di ammirare a testa in su. Giusto per essere sicuri di non inciampare in qualche buca, è sufficiente una "flashata" di torcia ogni tanto, e poi un po' più spesso nel sentiero in aperta campagna, specie in quei tratti dove la traccia del cammino quasi sparisce in mezzo allo sterrato privo di vegetazione. Ma qui, se non altro non si da fastidio a nessuno, perché il gruppone si è ormai abbondantemente sgranato.
Usciti dalla città e salutato il Santo, inizia quello che secondo me, e non solo, è il tratto più pesante del cammino, perché tutto in discesa e le gambe "lavorano" male, e per giunta su asfalto che a ogni passo restituisce un colpo secco alle giunture. Comunque, tant'è; nessuno ci ha obbligato: è una scelta, e non è il caso di commentarla poi tanto. E' poco più di una lunga passeggiata e ci sarà modo di rifarsi più avanti, cambiando passo in aperta campagna e in salita.
Fin qui il gruppo dei pellegrini è ancora abbastanza coeso, e quindi si deve stare un po' in fila per onorare la croce, "segnarsi", e tornare sulla strada ancora per altri 300 metri, dove, in prossimità di una casa colonica e un vascone irriguo, si lascia la SP45 svoltando a destra e si continua a scendere su una stradina stretta e sinuosa, dall'asfalto bianco e consunto per circa 3 km fino alla prossima croce all'imbocco del ponte di "Sa 'e Zerdanu" dove, solitamente, resta in attesa un'ambulanza per soccorrere eventuali vittime di malori.
Croce di Sa 'e Zerdanu: particolare. |
E' solo la seconda volta che faccio questo pellegrinaggio. La prima volta è stata il 30 aprile del 2016: il mio "battesimo di Santu Frantziscu" di cui ho già brevemente detto, come pure del mancato appuntamento autunnale. Fin qui tutto va alla perfezione: ho partecipato alla Messa di mezzanotte, alla benedizione dei pellegrini, al rito dei tre tocchi al portone della Chiesa del Rosario. Tutto “in regola”.
Ma quest'anno, nonostante la mia ottima resistenza alla fatica delle lunghe camminate, il cammino mi ha colto impreparato e forse anche un po' troppo baldanzoso. Se è vero che lo scorso anno ho accusato un po’ di stanchezza per essermi adeguato al passo più lento del mio, tenuto dall'ottima compagnia di un gruppo di amici, questa volta sono partito con una compagna di viaggio col mio stesso passo, che però era decisamente più abituata di me, e il risultato si è visto dopo meno di un terzo del percorso. I dolori alle anche all'altezza dell'inguine me li son portati appresso fino alla fine dell'asfalto, anche se già alla statua del Santo vicino al ponte di Marreri ho indugiato in una sosta di diversi minuti che mi ha fatto perdere il contatto con la compagna di partenza, concedendomi però l’agognata camminata in solitaria fino alla sosta della terza croce dopo “Isalle”, in località "Mamelis”, dove trovo anche il primo fuoco.
Penso inoltre che quest'anno abbia contribuito ai dolori la scelta dettata dalla curiosità di percorrere la variante "delle vigne"; opzione che dovrebbe rappresentare una componente originaria del cammino, negli anni gradualmente abbandonata e sostituita dalla prosecuzione sulla provinciale.
Il bivio si trova a meno di un chilometro oltre la croce del ponte di "Sa 'e Zerdanu", subito dopo una curva a sx, in località "Gardanuche"; dal lato destro della provinciale si diparte in salita una stradina di penetrazione agraria col fondo in cemento che attraversa i terreni coltivati a vigneto, e facendo cambiare passo dona magicamente sollievo alle gambe che adesso macinano per salire.
10[R]: Gardanuche. Sopra: L’imbocco della variante “delle vigne”. Sotto: due tratti del delizioso sentiero ombroso immerso in un paesaggio ameno, purtroppo godibile solo di giorno. |
Sollievo effimero! La pacchia dura giusto per quei cinque minuti necessari a coprire 400 metri, poi il cammino diventa pianeggiante per una decina di minuti, per tornare peggio di prima, in una ripidissima discesa spezza caviglie di un chilometro e mezzo verso "Tanca 'e Sos Flores", fino allo sbocco sulla SP 45 per ricongiungersi con gli altri pellegrini che più saggiamente hanno preferito restare sulla provinciale in pendenza costante. Fra l'altro non c'è nemmeno differenza in termini di distanza: entrambi i tragitti sono di 2 chilometri e mezzo.
11[R]: Marreri. La piccola statuetta bronzea sul ciglio destro della strada provinciale SP45, poco prima del ponte sul rio Sologo. |
Ancora 200 metri, e sulla destra una piccola statua bronzea di San Francesco posta su una colonna e con lo sguardo al cielo, richiama i pellegrini per una breve sosta di saluto e preghiera.
Alcuni gruppetti si ricompattano, altri si sgranano, e altri ancora se ne formano ex novo, per riavviarsi verso la meta.
Solo due minuti per lasciarsi sulla dx la strada SP 51 bis di Jacupiu e la ex casermetta diroccata dei carabinieri (mai entrata in servizio a causa dei gravi danni strutturali provocati da un'esplosione verificatasi quasi al termine dei lavori di edificazione), attraversare il vecchio “Ponte di Marreri” sul rio Sologo, imboccare la rampa in direzione Olbia, proseguire sempre in direzione Olbia, ma verso sinistra sulla SP45, tenendosi poco dopo alla sinistra della superstrada SS131 DCN.
Da qui ci attende un tratto rettilineo interminabile di tre chilometri e mezzo, ancora sul durissimo e noiosissimo asfalto, fino quasi all'incrocio da destra con la SP18, scandito solo da pochi punti di riferimento ogni chilometro circa: l'attraversamento del lungo vecchio ponte sul Rio "Lorana" e poco dopo, le luci della stazione di servizio a destra sulla superstrada e poi quelle a sinistra, della ex casa cantoniera, oggi occupata dalla Comunità Terapeutica “L’Approdo”, immersa nelle rigogliose vigne di Isalle.
12[R]: Isalle. Sull’interminabile rettilineo, la ex casa cantoniera, oggi ristrutturata e assegnata in uso alla comunità terapeutica “L’Approdo”. |
Già di per se il rettilineo mi sembra non finire mai, ma con le anche doloranti diventa un vero supplizio che tento di contrastare a testa bassa e passo costante, accompagnandomi con la nenia di un rosario recitato mentalmente, contando sulle dita e su cinque sassolini raccolti per lo scopo e passati da una tasca all'altra. Comunque siamo esattamente a metà strada!
Dopo circa un chilometro dall’ex cantoniera, finalmente il lontano bagliore del primo fuoco. Una quindicina di minuti e accanto alla terza croce, con statuina del Santo in teca, i volontari del comitato ci accolgono in un piazzale attrezzato per l'occasione anche con ambulanza e generi di conforto offerti dal priorato. Siamo nella regione di Isalle, in località Mamelis in prossimità del bivio della SP 18 per Sa Mendula e Oliena.
La sosta è tentatrice perché qui possiamo rinfrancarci per qualche minuto accanto a un falò, sorseggiando il te caldo o il caffè, oppure il Vov o semplicemente un sorso d'acqua, gentilmente offerti dal comitato. Qualcuno preferisce il vino rosso.
Visto il ritmo rallentato, sento di più il fresco notturno e quindi approfitto della fermata anche per indossare una maglia supplementare. Il prolungamento della sosta mi fa incontrare il caro amico Michele, che forte della sua profonda conoscenza dei luoghi legata all'esperienza ultradecennale, sarà di piacevole compagnia e guida per me ed altri, fino a destinazione.
Inizio a pensare che il pellegrinaggio in solitaria sia una chimera, ma mi rendo anche conto che la compagnia di vecchi amici o di conoscenti occasionali, arricchisce comunque lo spirito e accompagna gradevolmente l’andare.
14[C]: Mamelis. Momenti di convivialità con altri pellegrini e con i volontari del comitato. |
15[R]: Mamelis. Terza croce. Vista diurna. |
Dopo la lunghissima sgroppata su asfalto, l'ambiente accogliente e le voci attorno al falò vorrebbero trattenerci in questo punto di ristoro, ma è meglio non indugiare, e riprendere subito il cammino, prima che il sudore ci si raffreddi addosso nella falsa illusione del calore del fuoco a cui sarebbe troppo bello abbandonarsi.
La sosta è foriera di chiacchiere con conoscenze nuove e vecchie. Si riparte, magari in compagnia di altri pellegrini incontrati poco prima, o da soli se il precedente compagno di cammino si è già avviato o intende fermarsi ancora un po'.
Come in tutti i cammini di fede, si va per se stessi e per il fine preposto, spesso in compagnia dei soli propri pensieri. Così, se a un certo punto ci si aggrega con altri pellegrini, non c'è l'obbligo morale di arrivare a destino insieme, o con chi magari ci ha affiancato alla partenza o in qualsiasi punto del cammino; salvo impegno preliminare per dare supporto a una persona novizia, o anziana, o insicura della strada o delle proprie forze.
Lasciandoci alle spalle il bagliore crepitante del falò, ci riavviamo verso Nord-Ovest per battere finalmente su sterrato in leggera salita la stradina che inizialmente si incunea verso "Badde 'e su tricu" per svoltare dopo soli 100 metri decisamente a Ovest-Nord-Ovest costeggiando sulla destra una fattoria.
Grazie allo sterrato e allo sgranamento del corteo, ormai i disagi dell'asfalto e delle luci sciabolanti sono dimenticati, e l'andare è adesso un vero piacere per le gambe, anche perché per circa mezzo chilometro il sentiero è praticamente pianeggiante con pendenze insignificanti.
Da qui in avanti, salvo il fruire della guida esperta di un veterano o di essere un buon conoscitore dei luoghi, anche disponendo di una traccia GPS sicura si dovrà fare molta attenzione alle varie biforcazioni del sentiero, che purtroppo, a testimonianza dei pellegrini abituali, sono segnalate di anno in anno dal priorato di turno in maniera evanescente e approssimativa, a volte in maniera dubbia, con le conseguenze immaginabili in caso di errore.
Dette segnalazioni sono infatti realizzate con discutibili apposizioni di bande di nastro segnaletico bianco-rosso, fissate a tronchi d'albero, ma anche a piccoli cespugli o peggio ancora a steli erbosi.
Non si capisce come mai nessun priorato si sia mai impegnato fattivamente per l'installazione di un sistema di indicatori stabili, duraturi e soprattutto inequivocabili. Si tratterebbe di una spesa irrisoria per una dozzina di cartelli, che comunque darebbe un servizio definitivo alla comunità dei fedeli che durante un pellegrinaggio notturno possono trovare arduo individuare dei validi punti di riferimento per tenere la strada. Riuscendo a coinvolgere anche il CAI e l'Ente Forestas, si potrebbe addirittura inserire il cammino nella rete della sentieristica ufficiale demarcando un sentiero percorribile anche al di fuori delle due date di pellegrinaggio. Ma forse qui sto sconfinando nella fantascienza.
Tenendoci sulla destra di Cuccuru Sorgulitta, e attraversato il piccolo Riu Corrale, dopo poco più di cinque minuti dalla fattoria troviamo un secondo bivio. E' segnalato da una grande croce in ferro che segna l’inizio della ripida salita di Schina Preda ‘e Porcu. A sinistra un cancello chiuso. Ma noi comunque dobbiamo andare a destra.
17[R]: Schina Preda 'e Porcu. Quarta croce al bivio a destra, all'inizio della breve ripida salita. |
18[C]: Quarta croce. Pellegrino in cammino notturno rende omaggio al Santo. |
Altri dieci minuti scarsi e la discesa di Preda Isteddu, più ripida della precedente salita, ci introduce alla regione pianeggiante dell’omonimo piccolo Rio Isteddu prima, e del ben più largo Rio Sos Puttos poi. Al termine della discesa, tenendoci sul sentiero più largo, prendiamo il primo bivio a destra, e subito dopo, quello a sinistra. Dopo una decina di metri, sul ciglio destro è ben visibile una croce bianca; la quinta.
19[R]: Preda Isteddu. Quinta croce. Alla luce del giorno è ben visibile anche a distanza, ma di notte la si scorge solo se ben illuminata dalla luna o da una torcia puntata nella giusta direzione. |
20[C]: Preda Isteddu. Quinta croce. Sapevo dov’era e ho avvisato gli altri pellegrini del mio gruppo che altrimenti non l’avrebbero vista. Di notte le cose sono ben diverse dalla visibilità diurna. |
Ah, come sarebbero utili di notte un cartello o una freccia! Ma se non altro, quella croce ci conferma che siamo sulla strada giusta. A saperlo prima! Proseguiamo, commentando appunto la cronica assenza di segnalazioni chiare e visibili.
Senza neanche accorgerci, dopo appena un minuto passiamo su un piccolo manufatto in tubi di cemento per varcare l’anzidetto Rio Isteddu, o a seconda della stagione il suo greto in secca, e trovarci dopo altri 100 passi a un altro bivio dove teniamo la destra ancora per 100 metri.
Pochi metri prima dell’incrocio con il lungo rettilineo sterrato che a destra riporta alla SP 45, e a sinistra verso la meta ancora lontana, troviamo alla nostra destra la sesta croce.
21[R]: Riu Sos Puttos. Sesta croce.., |
...ormai avvolta dalla vegetazione. |
Una trentina di metri dopo aver svoltato a sinistra, deviamo sulla destra sull’imbocco per passare il largo Riu Sos Puttos. Qui le cose cambiano: non ci sono ponti o manufatti di sorta; se la stagione è secca potremo avere la fortuna di attraversare il greto del fiume a piedi asciutti, ma se le piogge primaverili sono state abbondanti e recenti bisognerà trovare il punto giusto per guadare al meglio.2
22[R]: Poco dopo la sesta Croce. Riu Sos Puttos. Indicato dalla freccia blu, l’imbocco verso il guado. |
Trovare il passaggio non è stato poi così difficile; altra cosa è imboccare il giusto cammino dopo il guado. Il greto del torrente è infatti abbastanza largo e sabbioso e deve essere attraversato in diagonale verso nord per un centinaio di metri, senza un riferimento preciso se non le sagome scure notturne di due alti eucaliptus che si stagliano poco più in alto vicino all’ovile, e che danno l’unica direzione sicura di attraversamento del fiume, anche perché la portata variabile delle piogge stagionali cambia di molto la morfologia del letto del fiume e i percorsi di guado.
Quindi, appena giunti sull'altra sponda, e rasentato alla sua destra un imponente olivastro, meglio scrutare attentamente tutt'intorno alla ricerca del fatidico nastro biancorosso prima di riprendere il cammino. Almeno fino a quando qualche priore illuminato non deciderà di posizionare dei cartelli o delle frecce.
Guadato il fiume si risale in lievissima pendenza percorrendo quello che secondo me è il tratto più infido e foriero di errori di percorso.
I possibili riferimenti che mi è riuscito di scorgere sono: subito dopo la sponda del rio il grande olivastro da lasciarsi alla sinistra a una cinquantina di metri dal limitare sabbioso del rio, poi la recinzione di una casa colonica da lasciarsi sulla destra (quella con gli eucalipti); dopo un'altra cinquantina di metri un bivio con un pinnettu diroccato sulla sinistra; qui il sentiero da prendere a destra si confonde con la sabbia e i ciottoli dilavati da un altro vicino ruscello poco più a monte. E' meglio fermarsi e nel buio della radura cercare di scorgere un cancello all'angolo di una recinzione di una vigna, un centinaio di metri più a nord.
Da qui bisogna seguire in salita il letto del torrentello della valleta di S'Ervutargiu tenendosi paralleli al rio, a monte sulla sinistra e facendo molta attenzione a non mettere il piede in fallo e cascare di sotto: non c'è sentiero per circa un chilometro e dopo i primi duecento metri il letto è molto profondo.
Dopo una faticosa arrampicata per quasi tutta la lunghezza della valletta, il sentiero torna visibile salendo ancora con due tornantini che ci portano sul cocuzzolo della collina.
Dal cancello della vigna a qui, la sgroppata di un chilometro ci ha impegnato per ben 20 minuti di salita al 10% di pendenza.
A ridosso di una croce, la settima, sotto un albero di olivastro facciamo una breve sosta per attendere un altro gruppetto di pellegrini sorpassati poco prima, bagnare la gola, e buttar giù un paio di frutti secchi presi dallo zaino.
Anche se è solo la seconda volta, non so perché ma ricordo perfettamente a memoria questo breve tratto che costeggiando una rete in mezzo a un piccolo boschetto ci riporta subito a mezza costa su un versante brullo esposto a sud e infine sullo spartiacque dal quale, solo di giorno si ammira un panorama che a perdita d’occhio spazia da Nord-Est a Sud-Ovest con le sagome inconfondibili dei rilievi a iniziare dal Montalbo per seguire verso destra con il Tuttavista, e poi ancora con il Corrasi e l’Ortobene.
Finora, da quando abbiamo abbandonato la strada asfaltata, abbiamo camminato nel territorio comunale di Dorgali. In questa zona entriamo nel territorio del comune di Lula.
Dopo meno di cinque minuti e 150 metri dalla 7ª croce, il sentiero incrocia un muretto a secco interrotto da un tratto di rete di recinzione che nelle notti del cammino viene tenuta aperta a guisa di cancello consentendo il passaggio dei pellegrini.
Penso che l’insolita vicinanza di questa croce con la precedente sia giustificata proprio dalla linea di confine che, fra l’altro, proseguendo ancora verso ovest per qualche centinaio di metri arriva a biforcarsi anche sul territorio di Orune.
Ce la prendiamo comoda e in una ventina di minuti percorriamo verso nord tutto il crinale che per un chilometro a quota 260m domina a sinistra la regione di Sos Lottres ‘e del Sorre, e a destra il declivio di Zobbe Ruiu.
I più timorosi possono iniziare a prepararsi e preoccuparsi per l’ormai prossimo mitico e falso mostro sacro di tutto il cammino: Janna Badde Manna, meglio nota come "Su Pettorru 'e Tziu Moro"! 50 metri di dislivello per 250 in orizzontale! 20% di pendenza! In realtà è solo uno spauracchio motivato più che altro dal fondo sconnesso fortemente gradonato che sicuramente mette alla prova il buon “Cipolla”, ma che per gli altri pellegrini con le scarpe è solo una breve sgambata che procura un po’ di fiatone. L’importante è tenere un ritmo calmo e costante: in poco più di cinque minuti siamo sul pianoro di Rughe Casteddu sul quale troneggia la croce della "Girandola", la più attesa e forse la più nota di tutto il cammino, installata, come recita una targa, nel 1997 in memoria di Giovanna Rosa Costa per volere del fratello. Qui riprendiamo fiato attorno al secondo falò nel punto di ristoro dove ci attende la calda accoglienza del comitato.
A questo proposito, qualcuno caldeggiava la partecipazione di almeno due persone con preparazione e dotazione almeno infermieristica, nelle retrovie per i lunghi tratti non coperti dall'ambulanza, e magari nel punto di sosta della Girandola.
Arbeschende.
Ripartiamo sul nuovo crinale a quota 300m per l'ultima mezz'ora che ci resta di sentiero prima di riannoiare le gambe sul nastro d'asfalto. Allontanandoci dalle luci delle lampade e del fuoco della Girandola riusciamo a cogliere i primi indizi del crepuscolo mattutino: un timido chiarore bluastro inizia ad avere il sopravvento sul grigiore indefinito dell'orizzonte ad Est. Sono tonalità pallide, fredde e cerulee, non colori fantasmagorici, ma che rapiscono comunque lo sguardo e l'attenzione perché insolite per noi "cittadini" che anche se avvezzi alle levatacce quotidiane, non riusciremo mai per via dell'inquinamento luminoso a cogliere questo piccolo ma maestoso spettacolo della natura.
Sono le cinque e mezza passate da poco. I bassi muretti in cemento che delimitano le banchine della SP73 sono una lunga poltrona dell'altezza ideale che si affolla e si svuota di continuo dai pellegrini che arrivano e ripartono. Chi attende gli altri, chi si massaggia i piedi doloranti, chi scherza e beve, chi chiacchiera, chi pregusta l'arrivo, chi fa consuntivi e pronostici di tempi e distanze percorsi e residui, chi azzarda una stima dei presenti (per questa edizione ne sono attesi 1500), e anche chi purtroppo, suo malgrado è costretto a gettare la spugna.
Un boccone, un sorso d'acqua, un controllo veloce che le calze siano ben asciutte e le scarpe ben salde per evitare spiacevoli vesciche, e siamo di nuovo in marcia. Pochi metri davanti a noi, "Cipolla", col suo fardello dello stendardo sulle spalle, assistito da due "angeli custodi", si presta con simpatico celio alla pantomima di un’intervista improvvisata da una ragazza, senza comunque interrompere il cammino.
I tratti sull'asfalto sembrano non finire mai, anche perché il fondo liscio e il tracciato regolare fanno spaziare lo sguardo lontano, ad una distanza che per essere colmata richiede tanti passi, lenti, tutti uguali, uno avanti all'altro, senza sorprese e senza colore, col paesaggio sempre uguale.
Così, armati di pazienza e di argomenti di distrazione percorriamo mestamente quei tre interminabili curvoni che le gambe e lo spirito vivono come 40 minuti su un tapis-rulant grigio di 2 chilometri.
La strada prosegue dritta per Lula e Bitti; a sinistra la discesa per le miniere di Sos Enattos; noi imbocchiamo a destra la stretta bretella che collega alla SP38, la vecchia strada di Lula.
Su questa stradina angusta e tortuosa, anche se su asfalto, il cammino è agevole e più gradevole se non altro per la varietà del paesaggio. Incrociamo pochissime auto probabilmente di pastori o agricoltori del posto con i quali scambiamo amichevoli fugaci saluti. Un barbagianni appollaiato su un palo al bordo della strada, intontito dalla luce del giorno ormai fatto, pare imbalsamato nella sua superiore imperturbabilità di rapace notturno, ma a quest'ora ormai fuori luogo.
E' un nuovo giorno. Il 1° maggio. Giorno di festa, a San Francesco di Lula!
Tutto sommato, con i dolori alle anche che ormai sono diventati silenziosi e distratti compagni di viaggio, mi sento in buona forma. Il morale è alto, il tempo è bello, siamo ormai in "odore" di Santuario.
In una decina di minuti divoriamo quel chilometro scarso che ci porta alla sosta presso l'altarino votivo alla Madonnina in località Santa Barbara, proprio all'innesto sulla SP38.
26[C]: Località Santa Barbara. Altare votivo alla Madonnina, e pellegrini durante una breve sosta prima della ripresa per il tratto finale verso il santuario. |
Con un pizzico di fortuna e un po' di buona lena arriviamo giusto in tempo. La Chiesa è già piena, ma non so come, riusciamo a trovare 4 posti di fianco all'altare e onorare San Francesco con la partecipazione alla Santa Messa.
Note:
1v.
immagine in copertina del libro.
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