03 - Diario



30.04.2016 sabato
Da Nuoro
a San Francesco di Lula

distanza
ascesa tot.
tempo cammino
vel. media
difficoltà
tappa
km 24,900
m 589
h 6:35
km/h 3,79
2 su 5
Curiosamente, la parrocchia di Ns. Signora del Rosario di Nuoro e il santuario di San Francesco di Lula si trovano pressoché alla stessa quota altimetrica.
Il tempo indicato è comprensivo delle soste (circa 45 minuti).
Velocità media effettiva: 4,27 km/h
Per chi ha fatto il Cammino di Santiago, questo pellegri­naggio è veramente una pas­seggiata. La distanza coper­ta è la stessa­ della pri­ma tappa del Camino Fran­ces da Sain-Jean-Pied-de-Port a Roncesvalle: 25 chilo­metri. Ma nel Cammino Sar­do non si devono valicare i Pi­renei, e nei giorni successivi non ci aspetta una cammi-nata di altri 800 chilo­metri con uno zaino ben più pesante sulle spalle.
In questi tre riquadri:
Elementi rilevati con GPS Garmin© ed elaborati con software BaseCamp©:
1° riquadro in alto:
Altimetria e distanze.
2° riquadro al centro:
Traccia planimetrica.
3° riquadro a lato:
Traccia planimetrica sovrapposta a vista terreno 3D su mappe Google© Earth©.
In rosso il tratto della SP45 alternativo alla cosiddetta variante delle vigne.

30 aprile 2016.

È appena pomeriggio. Il cielo è plumbeo e piove a dirotto da alcune ore. E non accenna a smettere. Il mio zainetto è già pronto, con tutto l’occorrente per affrontare il maltempo annunciato dalle previsioni meteo di ieri. Barbara cerca di dissuadermi dall’insano proposito di avventurarmi nel bel mezzo di una bufera d’acqua. Cerca, appunto. Alla fine accetta di buon grado di accompagnarmi, dopo pranzo, non oltre le sei, per lasciare la mia auto al santuario di Lula e tornare indietro insieme con la sua, per poi poter ripartire (io) a piedi a mezzanotte e rientrare con la mia macchina l’indomani.

Durante il trasferimento sia all’andata che al ritorno la pioggia è così forte da limitare la visuale a pochi metri. Ma io ho deciso: andrò! E così sarà. Punto.

Mezzanotte meno un quarto. Nuoro. Chiesa del Rosario. Attendo la fine della Messa e la benedizione ai pellegrini partenti. Dopo pochi minuti, la piccola folla di fedeli si riversa sul sagrato. Tutti col naso in su a scrutare il cielo. È nuvolo ma non piove più. Un segno? Bah!

Per un paio di minuti si formano dei piccoli capannelli per organizzare i gruppi di cammino, e il corteo, un po’ compatto, un po’ sgranato, si avvia in direzione della chiesetta della Solitudine per poi imboccare la vecchia strada di Marreri, non prima di una breve sosta davanti al simulacro del Santo custodito in una piccola teca all’inizio della discesa asfaltata.

Dal canto mio, l’iniziale intenzione di camminare in solitaria è sfumata, già sul sagrato del Rosario, col piacevole incontro di un amico, Stefano, con moglie e bimbo, con cui la chiacchiera si mischia ai passi senza soluzione di continuità, per cui, anche approfittando del fatto che Stefano è già conoscitore della ricorrenza, resto aggregato alla famigliola per tutto il cammino fino a destinazione.


Per tutto il tratto di discesa verso il ponte di Marreri non sono il solo a volgere spesso gli occhi al cielo, constatando sempre più ampie schiarite fino alla visione di una magnifica stellata che scongiurerà definitivamente ogni timore di meteo avverso.

Da buon camminatore non vedo l’ora di abbandonare la discesa e l’asfalto per calcare il più morbido e confortevole sterrato in pendenza contraria, anche se con un piccolo tarlo di apprensione, poi rivelatasi ingiustificata, per il mitico spauracchio dell’erta de “Su Pettorru ‘e tziu Moro” che a circa tre quarti del percorso conduce alla croce della Girandola1.

Fra una chiacchiera e l’altra e con l’intercalare di piccole soste anche per non affaticare troppo il bimbo che comunque si difende egregiamente, arriviamo puntuali al Santuario in agro di Lula a rendere omaggio alla bianca statua del Santo collocata sul sagrato di fianco alla chiesa.
2[C]: É mattino, le sette. Il Santo ha guidato i nostri passi
per giungere fino a lui sani e salvi, e giusto in tempo
per partecipare alla prima messa del giorno,
quella dell’accoglienza dei pellegrini.

In queste poche ri­ghe di cronaca non scendo volutamente nei particolari per non an­gustiare chi legge. Più avanti illustrerò mag­giori dettagli.

In effetti le vere note di rilievo di questa not­tata riguardano due particolari decisamente non religiosi: la mia prima volta del Cammi­no di San Francesco di Lula, e il non aver pre­so neanche una goccia di pioggia!

È stata un’esperien­za gratificante e già po­chi giorni dopo, parlan­do con Stefano scaturi­sce l’ovvia intesa per il prossimo appuntamen­to col Santo: il pellegri­naggio autunnale per la festa del 4 ottobre.

Ma…
 





3 ottobre 2016. Lunedì.

Preparo lo zainetto di primo mattino, e più tardi chiamo Stefano con l’intento di accordarci per il cammino di stanotte. Non riesco a contattarlo, ma in compenso all’ora di pranzo, Barbara mi mostra il giornale che parla del pellegrinaggio a S.F. di Lula di Sabato notte; l’1 ottobre. Me lo son perso! Questa volta andrò di giorno e in auto a rendere omaggio al Santo, ma dovrò fermarmi davanti al cancello chiuso.
Lo sconforto inizialmente è grande, ma poi me ne faccio giustamente una ragione. Cos’è successo?
3[R]: L’ingresso nord del borgo. Il cancello è chiuso per evitare l’intrusione di bestiame e vandali.
Riaprirà solo dall’anno prossimo, due volte l’anno, in concomitanza dei festeggiamenti di maggio e di ottobre.
Semplice: la data del 30 aprile è fissa, in quanto il giorno successivo è festivo (1° maggio) e i pellegrini all’arrivo possono trattenersi al Santuario senza l’assillo di dover rientrare precipitosamente al lavoro. La stessa cosa non si può dire per l’appuntamento autunnale, per cui già da alcuni anni il priorato ha iniziato a organizzare il pellegrinaggio in una “data mobile” che coincide quasi sempre con il sabato precedente il fatidico 3 ottobre.

Fino a maggio prossimo dovrò accontentarmi di rivisitare il sito solo mentalmente...
Ergo: visto com’è andata questa volta, ovviamente non mancherò l’appuntamento della prossima primavera. E dato che Stefano sarà impegnato alla “Girandola” come componente del comitato, questa volta riuscirò a camminare in solitaria.

Forse...



4[W-m]: In questa immagine catturata da Google Maps ho indicato le varie zone che caratterizzano il sito che, come accennato nelle pagine precedenti ha assunto la forma di un fortilizio con il maniero al centro e le case dei popolani tutt’intorno.

30 aprile 2017.

Prima della partenza, nella Parrocchia di Nostra Signora del Rosario, in via Chironi nel rione Santu Predu, la recita del rosario e al termine, la benedizione del parroco ai pellegrini. Tre tocchi sonori di mano destra al portone della Chiesa, ci si segna, e si parte.
5[C]: Il sagrato della chiesa di Ns. Signora del Rosario,
poco dopo mezzanotte, con i gruppetti degli ultimi ritardatari
che si apprestano a partire.
Il folto del corteo ha già inondato via Chironi
in direzione della chiesetta della Solitudine.

E' mezzanotte in punto. Se tutto fila liscio si dovrebbe arrivare al Santuario di San Francesco di Lula fra le sei e le sette del mattino, in tempo per assistere alla messa del pellegrino alla presenza dello stendardo con l’effige del Santo, recato in processione da Nuoro.

Da un anno all'altro, anche per uno stesso pellegrino può variare il tempo necessario a causa di soste più o meno brevi, diversa forma fisica, differente compagnia, motivazione, varianti di percorso, meteo, e altre cause. Inoltre, non tutti partono a mezzanotte: un gruppo, che accompagna Paolo Ladu, noto "Cipolla", il pellegrino scalzo1, parte un'ora prima, così come alcuni "sportivi" partono da soli o in piccoli gruppi, dopo la mezzanotte, anche all'una o persino più tardi.

6[C]: In prossimità del santuario, “Cipolla” seminascosto dallo stendardo
ma visibilmente scalzo, attorniato da un drappello di “angeli custodi”
che lo hanno accompagnato su tutto il percorso,
e affiancato per l’ultimo chilometro di cammino
dal priore uscente e sua moglie che lo conducono simbolicamente alla meta.
Comunque, salvo motivi imperscrutabili, anche se da soli, è preferibile viaggiare con il folto del gruppo, sia per maggiore tranquillità e sicurezza, sia per il fatto che nei principali punti di ristoro ("Mamelis/Isalle", "Girandola", e "Santa Barbara"), passati gli ultimi pellegrini del gruppo "ufficiale", i volontari del comitato di assistenza vanno via.

Lasciato il sagrato della Chiesa del Rosario, si percorre via Chironi verso la Chiesetta della Solitudine, al bivio Monte Ortobene - Marreri, prendendo a sinistra per la vecchia strada di Marreri (la SP45) e fermandosi dopo neanche 50 metri dall'inizio della discesa per rendere omaggio alla statuetta del Santo posta in una piccola nicchia sul lato destro della strada, e chiederne tacitamente la protezione per arrivare sani e salvi a destinazione.
7[C]: Località “La Solitudine”.
All’inizio della discesa della vecchia strada di Marreri.
Prima sosta per chiedere la benedizione del Santo
lungo il cammino a lui dedicato.
La statuina è collocata nella nicchia visibile in foto a destra.














Fin qui la strada era rischiarata dai lampioni dell'illuminazione pubblica, ma ora, appena oltre gli impianti sportivi sulla sinistra, l'occhio deve iniziare ad abituarsi al buio, o meglio, dovrebbe. Perché in realtà, iniziano a baluginare le deboli luci delle torcette elettriche, o a sciabolare a destra e a manca i fasci abbaglianti delle lampade di qualche pellegrino "superstar" che non ha capito che così facendo, oltre ad arrecare fastidio, abitua gli occhi suoi e altrui a quel livello di luce assolutamente inutile. Infatti, se il tempo è bello e il cielo è terso, anche in assenza di luna, come ad esempio la notte del 30 aprile 2017, senza il disturbo delle torce, gli occhi si abituano rapidamente al chiarore offerto dalla magnifica stellata che di tanto in tanto non si può fare a meno di ammirare a testa in su. Giusto per essere sicuri di non inciampare in qualche buca, è sufficiente una "flashata" di torcia ogni tanto, e poi un po' più spesso nel sentiero in aperta campagna, specie in quei tratti dove la traccia del cammino quasi sparisce in mezzo allo sterrato privo di vegetazione. Ma qui, se non altro non si da fastidio a nessuno, perché il gruppone si è ormai abbondantemente sgranato.

Usciti dalla città e sa­lutato il Santo, inizia quello che secondo me, e non solo, è il tratto più pesante del cammino, perché tutto in discesa e le gambe "lavorano" male, e per giunta su asfalto che a ogni passo restitui­sce un colpo secco alle giunture. Comunque, tant'è; nessuno ci ha ob­bligato: è una scelta, e non è il caso di commen­tarla poi tanto. E' poco più di una lunga passeg­giata e ci sarà modo di ri­farsi più avanti, cambian­do passo in aperta campagna e in salita.

8[R]: Janna Bentosa. La prima croce.
Lungo il percorso ho censito 11 croci, ma data l’incuria
riservata a un così importante cammino, non posso escludere
che altre siano state ormai inglobate nella vegetazione,
come qualcuna che a malapena sono riuscito a scorgere.

.
La prima croce, due chilometri dopo "La Solitudine", è a cinque minuti più in là del bivio per la Chiesetta di Valverde che ci lasciamo alle spalle sulla destra. E' discosta sulla destra, una ventina di metri dalla strada.

Fin qui il gruppo dei pellegrini è ancora abbastanza coeso, e quindi si deve stare un po' in fila per onorare la croce, "segnarsi", e tornare sulla strada ancora per altri 300 metri, dove, in prossimità di una casa colonica e un vascone irriguo, si lascia la SP45 svoltando a destra e si continua a scendere su una stradina stretta e sinuosa, dall'asfalto bianco e consunto per circa 3 km fino alla prossima croce all'imbocco del ponte di "Sa 'e Zerdanu" dove, solitamente, resta in attesa un'ambulanza per soccorrere eventuali vittime di malori.
9[R]: Sa ‘e Zerdanu. Seconda croce.
Tutte le croci sono state collocate in tempi diversi,
probabilmente ognuna da un diverso priore
o da qualche fedele, a seguito di grazia ricevuta.
Anche se alcune si trovano in corrispondenza di bivi,
dubito abbiano mai avuto funzione di indicatori di direzione.
Croce di Sa 'e Zerdanu: particolare.

E' solo la seconda vol­ta che faccio questo pel­legrinaggio. La prima vol­ta è stata il 30 aprile del 2016: il mio "battesimo di Santu Frantziscu" di cui ho già brevemente detto, come pure del mancato appuntamento autunna­le. Fin qui tutto va alla perfezione: ho partecipa­to alla Messa di mezza­notte, alla benedizione dei pellegrini, al rito dei tre tocchi al portone della Chiesa del Rosario. Tutto “in regola”.

Ma quest'anno, nono­stante la mia ottima resi­stenza alla fatica delle lunghe camminate, il cammino mi ha colto im­preparato e forse anche un po' troppo baldanzo­so. Se è vero che lo scor­so anno ho accusato un po’ di stanchezza per es­sermi adeguato al passo più lento del mio, tenuto dall'ottima compagnia di un gruppo di amici, que­sta volta sono partito con una compagna di viaggio col mio stesso passo, che però era decisamente più abituata di me, e il risultato si è visto dopo meno di un terzo del percorso. I dolori alle anche all'altezza dell'inguine me li son portati appresso fino alla fine dell'asfalto, anche se già alla statua del Santo vicino al ponte di Marreri ho indugiato in una sosta di diversi minuti che mi ha fatto perdere il contatto con la compagna di partenza, concedendomi però l’agognata camminata in solitaria fino alla sosta della terza croce dopo “Isalle”, in località "Mamelis”, dove trovo anche il primo fuoco.

Penso inoltre che quest'anno abbia contribuito ai dolori la scelta dettata dalla curiosità di percorrere la variante "delle vigne"; opzione che dovrebbe rappresentare una componente originaria del cammino, negli anni gradualmente abbandonata e sostituita dalla prosecuzione sulla provinciale.

Il bivio si trova a meno di un chilometro oltre la croce del ponte di "Sa 'e Zerdanu", subito dopo una curva a sx, in località "Gardanuche"; dal lato destro della provinciale si diparte in salita una stradina di penetrazione agraria col fondo in cemento che attraversa i terreni coltivati a vigneto, e facendo cambiare passo dona magicamente sollievo alle gambe che adesso macinano per salire.
10[R]: Gardanuche. Sopra: L’imbocco della variante “delle vigne”.
Sotto: due tratti del delizioso sentiero ombroso immerso in un paesaggio ameno,
purtroppo godibile solo di giorno.











Sollievo effimero! La pacchia dura giusto per quei cinque minuti necessari a coprire 400 metri, poi il cammino diventa pianeggiante per una decina di minuti, per tornare peggio di prima, in una ripidissima discesa spezza caviglie di un chilometro e mezzo verso "Tanca 'e Sos Flores", fino allo sbocco sulla SP 45 per ricongiungersi con gli altri pellegrini che più saggiamente hanno preferito restare sulla provinciale in pendenza costante. Fra l'altro non c'è nemmeno differenza in termini di distanza: entrambi i tragitti sono di 2 chilometri e mezzo.
11[R]: Marreri. La piccola statuetta bronzea
sul ciglio destro della strada provinciale SP45,
poco prima del ponte sul rio Sologo.

Ancora 200 metri, e sulla destra una piccola statua bronzea di San Francesco posta su una colonna e con lo sguardo al cie­lo, richiama i pellegrini per una breve sosta di saluto e preghie­ra.


Alcuni gruppetti si ricompattano, altri si sgranano, e altri ancora se ne formano ex novo, per riavviarsi verso la meta.


Solo due minuti per lasciarsi sulla dx la strada SP 51 bis di Jacupiu e la ex casermetta diroccata dei carabinieri (mai entrata in servizio a causa dei gravi danni strutturali provocati da un'esplosione verificatasi quasi al termine dei lavori di edifi­cazione), attraversare il vecchio “Ponte di Marreri” sul rio Sologo, imboccare la rampa in direzione Olbia, proseguire sempre in direzione Olbia, ma verso sinistra sulla SP45, tenendosi poco dopo alla sinistra della superstrada SS131 DCN.


Da qui ci attende un tratto rettilineo interminabile di tre chilometri e mezzo, ancora sul durissimo e noiosissimo asfalto, fino quasi all'incrocio da destra con la SP18, scandito solo da pochi punti di riferimento ogni chilometro circa: l'attraversamento del lungo vecchio ponte sul Rio "Lorana" e poco dopo, le luci della stazione di servizio a destra sulla superstrada e poi quelle a sinistra, della ex casa cantoniera, oggi occupata dalla Comunità Terapeutica “L’Approdo”, immersa nelle rigogliose vigne di Isalle.


12[R]: Isalle. Sull’interminabile rettilineo, la ex casa cantoniera, oggi ristrutturata
e assegnata in uso alla comunità terapeutica “L’Approdo”.

Già di per se il rettilineo mi sembra non finire mai, ma con le anche doloranti diventa un vero supplizio che tento di contrastare a testa bassa e passo costante, accompagnandomi con la nenia di un rosario recitato mentalmente, contando sulle dita e su cinque sassolini raccolti per lo scopo e passati da una tasca all'altra. Comunque siamo esattamente a metà strada!

Dopo circa un chilometro dall’ex cantoniera, finalmente il lontano bagliore del primo fuoco. Una quindicina di minuti e accanto alla terza croce, con statuina del Santo in teca, i volontari del comitato ci accolgono in un piazzale attrezzato per l'occasione anche con ambulanza e generi di conforto offerti dal priorato. Siamo nella regione di Isalle, in località Mamelis in prossimità del bivio della SP 18 per Sa Mendula e Oliena.

La sosta è tentatrice perché qui possiamo rinfrancarci per qualche minuto accanto a un falò, sorseggian­do il te caldo o il caffè, oppure il Vov o semplicemente un sorso d'acqua, gentil­mente offerti dal comitato. Qualcuno preferisce il vino rosso.

Visto il ritmo rallentato, sento di più il fresco notturno e quindi approfitto della fermata anche per indossare una maglia supplementare. Il prolungamento della sosta mi fa incontrare il caro amico Michele, che forte della sua profonda conoscenza dei luoghi legata all'esperienza ultradecennale, sarà di piacevole compagnia e guida per me ed altri, fino a destinazione.

Inizio a pensare che il pellegrinaggio in solitaria sia una chimera, ma mi rendo anche conto che la compagnia di vecchi amici o di conoscenti occasionali, arricchisce comunque lo spirito e accompagna gradevolmente l’andare.
13[C]: Mamelis. Terza croce. Lo spirito si rallegra. Il lontano annuncio del bagliore del fuoco si concretizza nella stazione di sosta tanto agognata. Non tanto perché regala il tepore del fuoco, il ristoro di una bevanda
calda, e un’occasione di pausa per il riposo alle membra, ma perché segna finalmente la fine dell’asfalto e l’inizio di un lungo tratto di cammino in salita su pista sterrata e su morbidi sentieri erbosi.
14[C]: Mamelis. Momenti di convivialità
con altri pellegrini e con i volontari del comitato.
15[R]: Mamelis. Terza croce.
Vista diurna.






























Dopo la lunghissima sgroppata su asfalto, l'ambiente accogliente e le voci attorno al falò vorrebbero trattenerci in questo punto di ristoro, ma è meglio non indugiare, e riprendere subito il cammino, prima che il sudore ci si raffreddi addosso nella falsa illusione del calore del fuoco a cui sarebbe troppo bello abbandonarsi.
La sosta è foriera di chiacchiere con conoscenze nuove e vecchie. Si riparte, magari in compagnia di altri pellegrini incontrati poco prima, o da soli se il precedente compagno di cammino si è già avviato o intende fermarsi ancora un po'.

Come in tutti i cammini di fede, si va per se stessi e per il fine preposto, spesso in compagnia dei soli propri pensieri. Così, se a un certo punto ci si aggrega con altri pellegrini, non c'è l'obbligo morale di arrivare a destino insieme, o con chi magari ci ha affiancato alla partenza o in qualsiasi punto del cammino; salvo impegno preliminare per dare supporto a una persona novizia, o anziana, o insicura della strada o delle proprie forze.

Lasciandoci alle spalle il bagliore crepitante del falò, ci riavviamo verso Nord-Ovest per battere finalmente su sterrato in leggera salita la stradina che inizialmente si incunea verso "Badde 'e su tricu" per svoltare dopo soli 100 metri decisamente a Ovest-Nord-Ovest costeggiando sulla destra una fattoria.

Grazie allo sterrato e allo sgranamento del corteo, ormai i disagi dell'asfalto e delle luci sciabolanti sono dimenticati, e l'andare è adesso un vero piacere per le gambe, anche perché per circa mezzo chilometro il sentiero è praticamente pianeggiante con pendenze insignificanti.

Da qui in avanti, salvo il fruire della guida esperta di un veterano o di essere un buon conoscitore dei luoghi, anche disponendo di una traccia GPS sicura si dovrà fare molta attenzione alle varie biforcazioni del sentiero, che purtroppo, a testimonianza dei pellegrini abituali, sono segnalate di anno in anno dal priorato di turno in maniera evanescente e approssimativa, a volte in maniera dubbia, con le conseguenze immaginabili in caso di errore.

Dette segnalazioni sono infatti realizzate con discutibili apposizioni di bande di nastro segnaletico bianco-rosso, fissate a tronchi d'albero, ma anche a piccoli cespugli o peggio ancora a steli erbosi.
16[R]: Un esempio di segnalazione di percorso con nastro bianco-rosso.
Foto scattata alle dieci di mattina pochi giorni dopo il pellegrinaggio di
primavera. È intuibile quale può essere la visibilità notturna da parte di
un pellegrino stanco, e come possa essere interpretata l’indicazione.

Non si capisce come mai nessun priorato si sia mai impegnato fattivamente per l'installazione di un sistema di indicatori stabili, duraturi e soprattutto inequivocabili. Si tratterebbe di una spesa irrisoria per una dozzina di cartelli, che comunque darebbe un servizio definitivo alla comunità dei fedeli che durante un pellegrinaggio notturno possono trovare arduo individuare dei validi punti di riferimento per tenere la strada. Riuscendo a coinvolgere anche il CAI e l'Ente Forestas, si potrebbe addirittura inserire il cammino nella rete della sentieristica ufficiale demarcando un sentiero percorribile anche al di fuori delle due date di pellegrinaggio. Ma forse qui sto sconfinando nella fantascienza.

Tenendoci sulla destra di Cuccuru Sorgulitta, e attraversato il piccolo Riu Corrale, dopo poco più di cinque minuti dalla fattoria troviamo un secondo bivio. E' segnalato da una grande croce in ferro che segna l’inizio della ripida salita di Schina Preda ‘e Porcu. A sinistra un cancello chiuso. Ma noi comunque dobbiamo andare a destra.

17[R]: Schina Preda 'e Porcu.
Quarta croce al bivio a destra,
all'inizio della breve ripida salita.
18[C]: Quarta croce.
Pellegrino in cammino notturno
rende omaggio al Santo.

Altri dieci minuti scarsi e la discesa di Preda Isteddu, più ripida della precedente salita, ci introduce alla regione pianeggiante dell’omonimo piccolo Rio Isteddu prima, e del ben più largo Rio Sos Puttos poi. Al termine della discesa, tenendoci sul sentiero più largo, prendiamo il primo bivio a destra, e subito dopo, quello a sinistra. Dopo una decina di metri, sul ciglio destro è ben visibile una croce bianca; la quinta.

19[R]: Preda Isteddu. Quinta croce.
Alla luce del giorno è ben visibile anche a distanza,
ma di notte la si scorge solo se ben illuminata dalla
luna o da una torcia puntata nella giusta direzione.
20[C]: Preda Isteddu. Quinta croce.
Sapevo dov’era e ho avvisato gli altri pellegrini del mio
gruppo che altrimenti non l’avrebbero vista.
Di notte le cose sono ben diverse dalla visibilità diurna.


 Ah, come sarebbero utili di notte un cartello o una freccia! Ma se non altro, quella croce ci conferma che siamo sulla strada giusta. A saperlo prima! Proseguiamo, commentando appunto la cronica assenza di segnalazioni chiare e visibili.

Senza neanche accorgerci, dopo appena un minuto passiamo su un piccolo manufatto in tubi di cemento per varcare l’anzidetto Rio Isteddu, o a seconda della stagione il suo greto in secca, e trovarci dopo altri 100 passi a un altro bivio dove teniamo la destra ancora per 100 metri.
Pochi metri prima dell’incrocio con il lungo rettilineo sterrato che a destra riporta alla SP 45, e a sinistra verso la meta ancora lontana, troviamo alla nostra destra la sesta croce.
21[R]: Riu Sos Puttos. Sesta croce..,
...ormai avvolta dalla vegetazione.











Una trentina di metri dopo aver svoltato a sinistra, deviamo sulla destra sull’imbocco per passare il largo Riu Sos Puttos. Qui le cose cambiano: non ci sono ponti o manufatti di sorta; se la stagione è secca potremo avere la fortuna di attraversare il greto del fiume a piedi asciutti, ma se le piogge primaverili sono state abbondanti e recenti bisognerà trovare il punto giusto per guadare al meglio.2

22[R]: Poco dopo la sesta Croce. Riu Sos Puttos. Indicato dalla freccia blu, l’imbocco verso il guado.
La provvidenza ci ha aiutato, e forse San Francesco vedendo la nostra inesperienza (o magari solo la mia!), ci ha fatto trovare un agevole passaggio sui sassi fra la poca acqua residua, portandoci dall’altra parte senza inzaccherarci troppo.

Trovare il passaggio non è stato poi così difficile; altra cosa è imboccare il giusto cammino dopo il guado. Il greto del torrente è infatti abbastanza largo e sabbioso e deve essere attraversato in diagonale verso nord per un centinaio di metri, senza un riferimento preciso se non le sagome scure notturne di due alti eucaliptus che si stagliano poco più in alto vicino all’ovile, e che danno l’unica direzione sicura di attraversamento del fiume, anche perché la portata variabile delle piogge stagionali cambia di molto la morfologia del letto del fiume e i percorsi di guado.

Quindi, appena giunti sull'altra sponda, e rasentato alla sua destra un imponente olivastro, meglio scrutare attentamente tutt'intorno alla ricerca del fatidico nastro biancorosso prima di riprendere il cammino. Almeno fino a quando qualche priore illuminato non deciderà di posizionare dei cartelli o delle frecce.

Guadato il fiume si risale in lievissima pendenza percorren­do quello che secondo me è il tratto più infido e foriero di errori di percorso.

I possibili riferimenti che mi è riuscito di scorgere sono: subito dopo la sponda del rio il grande olivastro da lasciarsi alla sinistra a una cinquantina di metri dal limitare sabbioso del rio, poi la recinzione di una casa colonica da lasciarsi sulla destra (quella con gli eucalipti); dopo un'altra cinquantina di metri un bivio con un pinnettu diroccato sulla sinistra; qui il sentiero da prendere a destra si confonde con la sabbia e i ciottoli dilavati da un altro vicino ruscello poco più a monte. E' meglio fermarsi e nel buio della radura cercare di scorgere un cancello all'angolo di una recinzione di una vigna, un centinaio di metri più a nord.

Da qui bisogna seguire in salita il letto del torrentello della valleta di S'Ervutargiu tenendosi paralleli al rio, a monte sulla sinistra e facendo molta attenzione a non mettere il piede in fallo e cascare di sotto: non c'è sentiero per circa un chilometro e dopo i primi duecento metri il letto è molto profondo.

Dopo una faticosa arrampicata per quasi tutta la lunghezza della valletta, il sentiero torna visibile salendo ancora con due tornantini che ci portano sul cocuzzolo della collina.

Dal cancello della vigna a qui, la sgroppata di un chilometro ci ha impegnato per ben 20 minuti di salita al 10% di pendenza.

A ridosso di una croce, la settima, sotto un albero di olivastro facciamo una breve sosta per attendere un altro gruppetto di pellegrini sorpassati poco prima, bagnare la gola, e buttar giù un paio di frutti secchi presi dallo zaino.
23[C]: Su Lidonargiu. 7ª croce. Al termine della ripida salita un minuto di tregua per un boccone e un sorso d’acqua.
Poi si riparte verso il crinale che conduce all’ultima dura prova de “Su pettorru ‘e tziu Moro”
 Anche se le gambe gradiscono la pausa, cerchiamo di indugiare solo per pochi minuti per non far raffreddare addosso il sudore, e ripartiamo, ancora in salita, per il sentierino a destra della croce.

Anche se è solo la seconda volta, non so perché ma ricordo perfettamente a memoria questo breve tratto che costeggiando una rete in mezzo a un piccolo boschetto ci riporta subito a mezza costa su un versante brullo esposto a sud e infine sullo spartiacque dal quale, solo di giorno si ammira un panorama che a perdita d’occhio spazia da Nord-Est a Sud-Ovest con le sagome inconfondibili dei rilievi a iniziare dal Montalbo per seguire verso destra con il Tuttavista, e poi ancora con il Corrasi e l’Ortobene.

Finora, da quando abbiamo abbandonato la strada asfalta­ta, abbiamo camminato nel territorio comunale di Dorgali. In questa zona entriamo nel territorio del comune di Lula.

 Dopo meno di cinque minuti e 150 metri dalla 7ª croce, il sentiero incrocia un muretto a secco interrotto da un tratto di rete di recinzione che nelle notti del cammino viene tenuta aperta a guisa di cancello consentendo il passaggio dei pellegrini.
24R]: Su Lidonargiu. 8ª croce. Qualcuno l’ha usata come paletto di recinzione…
Il sentiero procede dalla sinistra alla destra della foto, per cui il camminante
che la incrocia “di taglio”, a meno di conoscerne l’ubicazione,
passa oltre senza identificarne la sagoma.
Il cammino di San Francesco di Lula sta andando col tempo sempre più in malora
senza che i priorati che si avvicendano pongano un serio impegno
per la manutenzione e ne migliorino la fruizione per i pellegrini.


Sul lato destro di questo cancello improvvisato non è facile, specie di notte, scorgere l’ottava croce, semi divelta e usata a mo’ di paletto di sostegno proprio per quella rete che insieme al muretto segna il confine fra l’ultima tanca del  territorio comunale di Dorgali e la prima in quello di Lula.
Penso che l’insolita vicinanza di questa croce con la precedente sia giustificata proprio dalla linea di confine che, fra l’altro, proseguendo ancora verso ovest per qualche centinaio di metri arriva a biforcarsi anche sul territorio di Orune.


Ce la prendiamo comoda e in una ventina di minuti percorriamo verso nord tutto il crinale che per un chilometro a quota 260m domina a sinistra la regione di Sos Lottres ‘e del Sorre, e a destra il declivio di Zobbe Ruiu.

I più timorosi possono iniziare a prepararsi e preoccuparsi per l’ormai prossimo mitico e falso mostro sacro di tutto il cammino: Janna Badde Manna, meglio nota come "Su Pettorru 'e Tziu Moro"! 50 metri di dislivello per 250 in orizzontale! 20% di pendenza! In realtà è solo uno spauracchio motivato più che altro dal fondo sconnesso fortemente gradonato che sicuramente mette alla prova il buon “Cipolla”, ma che per gli altri pellegrini con le scarpe è solo una breve sgambata che procura un po’ di fiatone. L’importante è tenere un ritmo calmo e costante: in poco più di cinque minuti siamo sul pianoro di Rughe Casteddu sul quale troneggia la croce della "Girandola",  la più attesa e forse la più nota di tutto il cammino, installata, come recita una targa, nel 1997 in memoria di Giovanna Rosa Costa per volere del fratello. Qui riprendiamo fiato attorno al secondo falò nel punto di ristoro dove ci attende la calda accoglienza del comitato.
25[C]: Rughe Casteddu. La Girandola. Nona croce. La meta intermedia più sentita perché occasione di tepore e ristoro, perché da qui in avanti il cammino si fa più lieve, e perché a maggio a quest’ora si intravedono i primi accenni di crepuscolo che infondono fiducia. È il giorno del Santo!

Se l'arrivo notturno alla Croce della Girandola
genera un sospiro di sollievo e infonde gratificazione all'animo
per aver superato le peggiori difficoltà del cammino,
la visione diurna dello stesso simulacro e del panorama
che lo circonda ai quattro punti cardinali,
suscita emozioni indescrivibili per chi già l'ha visitato di notte.
Mentre ci rifocilliamo con un tè caldo, due pellegrini appena giunti chiedono soccorso per una signora che più indietro ha avuto un malore. Purtroppo l'ambulanza è in sosta molto più avanti, al ricongiungimento del sentiero con la SP73 Bitti-Sologo, 2 km prima del bivio per le miniere di Sos Enattos, per cui, altri tre pellegrini volenterosi e già riposati si avviano per ridiscendere "Su pettorru 'e Tziu Moro" e portare aiuti alla signora in difficoltà che dal canto suo ha comunque caparbia­mente proseguito e dopo aver superato la crisi di una probabile congestione, arriva alla Girandola dopo una decina di minuti; pallida e sconvolta ma sana e salva. Proseguirà con quelli del comitato che si accingono a smontare il campo per raggiungere gli altri all'ultima area di ristoro intermedia all'altarino votivo alla Madonna, in località "Santa Barbara".

A questo proposito, qualcuno caldeggiava la partecipazione di almeno due persone con preparazione e dotazione almeno infermieristica, nelle retrovie per i lunghi tratti non coperti dall'ambulanza, e magari nel punto di sosta della Girandola.

Arbeschende.

Ripartiamo sul nuovo crinale a quota 300m per l'ultima mezz'ora che ci resta di sentiero prima di riannoiare le gambe sul nastro d'asfalto. Allontanandoci dalle luci delle lampade e del fuoco della Girandola riusciamo a cogliere i primi indizi del crepuscolo mattutino: un timido chiarore bluastro ini­zia ad avere il sopravvento sul grigiore indefinito dell'orizzonte ad Est. Sono tonalità pallide, fredde e cerulee, non colori fantasmagori­ci, ma che rapiscono comunque lo sguardo e l'attenzione perché in­solite per noi "cittadini" che anche se avvezzi alle levatacce quotidiane, non riuscire­mo mai per via dell'inquinamento luminoso a cogliere questo piccolo ma mae­stoso spettacolo della natura.

Sono le cinque e mezza passate da poco. I bassi muretti in cemento che delimitano le banchine della SP73 sono una lunga poltrona dell'altezza ideale che si affolla e si svuota di continuo dai pellegrini che arrivano e ripartono. Chi attende gli altri, chi si massaggia i piedi doloranti, chi scherza e beve, chi chiacchiera, chi pregusta l'arrivo, chi fa consuntivi e pronostici di tempi e distanze percorsi e residui, chi azzarda una stima dei presenti (per questa edizione ne sono attesi 1500), e anche chi purtroppo, suo malgrado è costretto a gettare la spugna.

Un boccone, un sorso d'acqua, un controllo veloce che le calze siano ben asciutte e le scarpe ben salde per evitare spiacevoli vesciche, e siamo di nuovo in marcia. Pochi metri davanti a noi, "Cipolla",  col suo fardello dello stendardo sulle spalle, assistito da due "angeli custodi", si presta con simpatico celio alla pantomima di un’intervista improvvisata da una ragazza, senza comunque interrompere il cammino.

I tratti sull'asfalto sembrano non finire mai, anche perché il fondo liscio e il tracciato regolare fanno spaziare lo sguardo lontano, ad una distanza che per essere colmata richiede tanti passi, lenti, tutti uguali, uno avanti all'altro, senza sorprese e senza colore, col paesaggio sempre uguale.

Così, armati di pazienza e di argomenti di distrazione percorriamo mestamente quei tre interminabili curvoni che le gambe e lo spirito vivono come 40 minuti su un tapis-rulant grigio di 2 chilometri.

La strada prosegue dritta per Lula e Bitti; a sinistra la disce­sa per le miniere di Sos Enattos; noi imbocchiamo a destra la stretta bretella che collega alla SP38, la vecchia strada di Lula.

Su questa stradina angusta e tortuosa, anche se su asfalto, il cammino è agevole e più gradevole se non altro per la varietà del paesaggio. Incrociamo pochissime auto probabilmente di pastori o agricoltori del posto con i quali scambiamo amichevoli fugaci saluti. Un barbagianni appollaiato su un palo al bordo della strada, intontito dalla luce del giorno ormai fatto, pare imbalsamato nella sua superiore imperturbabilità di rapace notturno, ma a quest'ora ormai fuori luogo.

E' un nuovo giorno. Il 1° maggio. Giorno di festa, a San Francesco di Lula!

Tutto sommato, con i dolori alle anche che ormai sono diventati silenziosi e distratti compagni di viaggio, mi sento in buona forma. Il morale è alto, il tempo è bello, siamo ormai in "odore" di Santuario.

In una decina di minuti divoriamo quel chilometro scarso che ci porta alla sosta presso l'altarino votivo alla Madonnina in località Santa Barbara, proprio all'innesto sulla SP38.

26[C]: Località Santa Barbara. Altare votivo alla Madonnina, e pellegrini durante una breve sosta prima della ripresa per il tratto finale verso il santuario.
Dopo un ringraziamento alla Vergine ci concediamo ancora una breve pausa per una bevanda calda offerta dal comitato. Non possiamo fermarci di più. Sono già le sei e mezza e il Santo ci attende per la messa delle 7. Ormai solo 1 km sul sentiero di Corveddu ci separa dalla decima croce, quella di Vola Irgas, e un altro chilometro dal Santuario con l'ultima croce. In mezzo, sulla destra, la bianca chiesa di San Nicola visibile in alto alla nostra de­stra.

27[C]: Vola Irgas. Ultimo chilometro. Inizio della stradina in asfalto rosso (che si intravede a dx nella foto).
Decima croce; l’ultima prima di quella all’ingresso del borgo di San Francesco.
Se la fatica e i dolori hanno accompagnato alcuni pellegrini che sono giunti fin qui solo grazie alla testa,
adesso le gambe avanzano senza controllo per giungere all'agognata destinazione.

Con un pizzico di fortuna e un po' di buona lena arriviamo giusto in tempo. La Chiesa è già piena, ma non so come, riusciamo a trovare 4 posti di fianco all'altare e onorare San Francesco con la partecipazione alla Santa Messa.




 Note:
1v. immagine in copertina del libro.

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